Sul risarcimento del danno da perdita di capacità lavorativa

Nell’ambito del risarcimento del danno da perdita di capacità lavorativa subita dal danneggiato-lavoratore in conseguenza degli effetti negativi prodotti da illecito, là dove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni. Così che identico principio differenziale deve valere nel caso in cui, in assenza delle conseguenze lesive riportate a causa dell’illecito, il lavoratore avrebbe con certezza proseguito nella sua attività lavorativa e continuato a percepire la retribuzione, corrispondente alla qualifica professionale per la quale era stato assunto, maggiore rispetto a quella percepita nella nuova qualifica acquisita per demansionamento conseguente all’illecito.

(Cassazione Civile, 16 gennaio 2024, n. 1607)