Infezione contratta in ospedale: l’onere probatorio grava sul paziente danneggiato

In tema di responsabilità sanitaria per infezioni nosocomiali, l'accertamento del nesso causale tra il contagio e il decesso del paziente deve essere improntato alla regola della preponderanza dell'evidenza, secondo cui il giudice deve dare prevalenza alla spiegazione causale che appare più probabile in base ad un giudizio inferenziale fondato sulla comparazione tra diverse spiegazioni alternative. La prova della responsabilità aquiliana della struttura sanitaria ex art. 2043 c.c. può essere fornita dal danneggiato anche tramite presunzioni semplici, in applicazione del principio della vicinanza della prova, quando risulti provata l'idoneità della condotta a provocare il contagio e la struttura non abbia prodotto la documentazione obbligatoria attestante l'adozione delle misure preventive. La struttura sanitaria può fornire prova liberatoria dimostrando di aver adottato tutte le misure utili alla prevenzione delle infezioni, consistenti nell'indicazione: a) dei protocolli di disinfezione e sterilizzazione; b) delle modalità di gestione della biancheria; c) dello smaltimento rifiuti; d) delle caratteristiche della mensa; e) della qualità dell'aria e degli impianti; f) del sistema di sorveglianza e notifica; g) del controllo accessi; h) delle procedure per il personale; i) del rapporto numerico personale/degenti; l) della sorveglianza microbiologica; m) del monitoraggio dei germi patogeni.

(Cassazione Civile, 30 dicembre 2024, n. 35062)


Azione revocatoria: atto compiuto da una società di capitali e scientia damni

In materia di azione revocatoria ordinaria, quando l’alienante è una società, il requisito della scientia damni deve essere valutato con riferimento alla consapevolezza delle persone fisiche che agiscono in nome e per conto dell’ente, secondo il criterio stabilito dall’art. 1391 c.c., applicabile anche all’attività delle persone giuridiche.

(Cassazione Civile, ordinanza, 24 dicembre 2024, n. 34275)


Diritto del cliente alla documentazione bancaria

In materia bancaria, il cliente ha diritto di ottenere a proprie spese copia della documentazione bancaria relativa al contratto di mutuo, comprendente: il contratto di mutuo, l'atto di erogazione e quietanza, il prospetto delle rate pagate, le fideiussioni e le perizie espletate, nell'ambito della trasparenza e della buona fede contrattuale. Non sono invece dovuti i documenti generici come i contratti di assicurazione e i patti aggiunti, la cui esistenza non è stata adeguatamente provata.

(Tribunale di Bari, 6 dicembre 2024, n. 4962)


Per il passaporto del minore in affido esclusivo non è necessario né l’assenso del genitore non affidatario né l’autorizzazione del Tribunale

In caso di affidamento esclusivo del figlio a uno dei genitori, il rilascio del passaporto non richiede né il consenso dell’altro genitore né, in sua assenza, l’autorizzazione del giudice tutelare, poiché, ai sensi degli articoli 337 ter, comma 3, e 337 quater, comma 3, del Codice civile, tale rilascio non rientra tra le decisioni di maggiore interesse per il minore.

(Cassazione Civile, 10 dicembre 2024, n. 31785)


Caparra confirmatoria o risarcimento del danno: la parte adempiente può scegliere

In presenza di una caparra confirmatoria, ai sensi dell’articolo 1385 del Codice civile, la parte adempiente, a fronte dell’inadempimento della controparte, può scegliere tra due rimedi alternativi e non cumulabili: recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta (oppure esigere il doppio, se versata), facendo valere la funzione tipica della caparra quale liquidazione anticipata del danno, oppure richiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento integrale dei danni subiti.

(Cassazione Civile, 28 novembre 2024, n. 30636)


Il risarcimento agli eredi del defunto va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile

Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell'illecito, l'ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti. La liquidazione del danno biologico, nel caso di premorienza del danneggiato, va effettuata proporzionalmente e non già assegnando un maggior valore alla invalidità iniziale ed uno minore a quelle finale, ossia prossima al decesso.

(Cassazione Civile, 26 novembre 2024, n. 30461)


Risarcimento danni: la ridotta aspettativa di vita ed il c.d. “danno latente”

In materia di liquidazione del danno alla persona, il c.d. “rischio latente” – ossia la possibilità che, per la gravità dei postumi, insorga un ulteriore pregiudizio, quale una nuova invalidità o la morte ante tempus – integra una compromissione della salute del danneggiato che deve essere considerata nella determinazione del grado di invalidità permanente. Ne deriva che, qualora tale rischio sia già stato valutato nella quantificazione percentuale dell’invalidità, il danno biologico deve essere liquidato tenendo conto della concreta riduzione della speranza di vita del soggetto, anziché della durata media della vita. Se invece il “rischio latente” non è stato incluso nel grado di invalidità riconosciuto, il giudice dovrà tenerne conto in sede di liquidazione, procedendo a un'equa maggiorazione dell'importo risarcitorio.

(Cassazione Civile, 19 novembre 2024, n. 29815)


Risoluzione del contratto: l’utilizzo del bene concorre a determinare l’ammontare del prezzo da restituire

In tema di risoluzione del contratto di compravendita per vizi della cosa venduta, gli artt. 1490 e 1492 c.c. vanno interpretati alla luce del principio generale di cui all'art. 1455 c.c., per cui l'azione redibitoria è legittimata solo da vizi che costituiscano un inadempimento di non scarsa importanza, da valutarsi in base alla loro idoneità a rendere la cosa inidonea all'uso o a diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo l'apprezzamento di fatto del giudice di merito. Nella determinazione del prezzo da restituire al compratore che abbia agito vittoriosamente in redibitoria, in virtù del nesso sinallagmatico e degli effetti retroattivi della risoluzione ex art. 1458 c.c., deve tenersi conto dell'uso del bene fatto dal medesimo, al fine di garantire l'equilibrio tra le prestazioni restitutorie ed evitare un'illegittima locupletazione dell'acquirente che abbia continuato ad utilizzare il bene, pur se viziato ma non completamente inidoneo, determinandone una progressiva perdita di valore. Gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla domanda di risoluzione e non dal momento in cui la prestazione pecuniaria venne eseguita. In tema di risarcimento danni ex art. 1494 c.c., ove sia sorta l'obbligazione di garanzia per vizi non facilmente riconoscibili, grava sul venditore una presunzione di conoscenza dei vizi, superabile solo dimostrando di averli ignorati senza colpa. Il danno risarcibile può includere gli interessi passivi corrisposti per un finanziamento contratto per l'acquisto, limitatamente all'ammontare del prezzo del bene, quali effetti diretti e immediati della responsabilità del venditore.

(Cassazione Civile, ordinanza, 8 novembre 2024, n. 28838)


Auto senza revisione: è responsabile anche il proprietario del mezzo per avere permesso la circolazione del veicolo

Consentire la circolazione di un veicolo non revisionato determina il concorso di colpa del proprietario perché si è consapevolmente coinvolto in una situazione in cui esiste il pericolo di un danno a suo carico e la sua condotta ha costituito una concreta concausa dell'evento.

(Cassazione Civile, ordinanza, 29 ottobre 2024, n. 27903)


Nessun mantenimento al figlio maggiorenne che non studia e non lavora

In materia di diritto al mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente, devono essere considerati alcuni presupposti fondamentali: l’età del figlio, il concreto conseguimento di competenze professionali e l’effettivo impegno nella ricerca di un’occupazione. Qualora il figlio, pur essendo maggiorenne, non riesca a trovare un lavoro stabile che gli consenta di raggiungere l’autosufficienza economica, il mantenimento non dovrebbe gravare esclusivamente sul genitore, ma il figlio dovrebbe avvalersi degli strumenti di sostegno sociale. In tal modo, l’obbligo alimentare familiare si limiterebbe a garantire solo i bisogni essenziali.

(Cassazione Civile, 28 ottobre 2024, n. 27818)