Risoluzione del contratto: l’utilizzo del bene concorre a determinare l’ammontare del prezzo da restituire

In tema di risoluzione del contratto di compravendita per vizi della cosa venduta, gli artt. 1490 e 1492 c.c. vanno interpretati alla luce del principio generale di cui all’art. 1455 c.c., per cui l’azione redibitoria è legittimata solo da vizi che costituiscano un inadempimento di non scarsa importanza, da valutarsi in base alla loro idoneità a rendere la cosa inidonea all’uso o a diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo l’apprezzamento di fatto del giudice di merito. Nella determinazione del prezzo da restituire al compratore che abbia agito vittoriosamente in redibitoria, in virtù del nesso sinallagmatico e degli effetti retroattivi della risoluzione ex art. 1458 c.c., deve tenersi conto dell’uso del bene fatto dal medesimo, al fine di garantire l’equilibrio tra le prestazioni restitutorie ed evitare un’illegittima locupletazione dell’acquirente che abbia continuato ad utilizzare il bene, pur se viziato ma non completamente inidoneo, determinandone una progressiva perdita di valore. Gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla domanda di risoluzione e non dal momento in cui la prestazione pecuniaria venne eseguita. In tema di risarcimento danni ex art. 1494 c.c., ove sia sorta l’obbligazione di garanzia per vizi non facilmente riconoscibili, grava sul venditore una presunzione di conoscenza dei vizi, superabile solo dimostrando di averli ignorati senza colpa. Il danno risarcibile può includere gli interessi passivi corrisposti per un finanziamento contratto per l’acquisto, limitatamente all’ammontare del prezzo del bene, quali effetti diretti e immediati della responsabilità del venditore.

(Cassazione Civile, ordinanza, 8 novembre 2024, n. 28838)